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Non conta ciò che appare ma ciò che viene percepito

 

La mia arte che nega il simbolismo delle immagini, potrebbe non offrire una variabile inesauribile di metafore, di temi espressivi sufficienti con i quali testimoniare i dubbi e il mio impegno, pur non disconoscendo che si possa intravedere come esito della creazione e causa di godimento, anche l’assenza di trasmissione, l’assenza di ricezione, ossia la semplice possibilità del non senso e l’inevitabile difetto di comprensione.

 

L’efficacia di un’immagine viene prodotta, si genera e viene colta in quanto frutto di una relazione tra opera d’arte e osservatore che, sottoposto al sistema di stimolazioni che l’artista ha ricostruito in artefatto oggettivo, riprova certe emozioni o si immedesima in certi contesti psicologici che ripesca dalla memoria, dalla sua interiorità.

L’artista però non può prevedere, né tanto meno determinare a pieno, l’esperienza estetica.

Questa esperienza infatti è aperta, è un processo non strutturabile di interazione comunicativa nella quale al destinatario (il fruitore) compete una responsabilità interpretativa inalienabile.

 

Tuttavia ritengo che affiancando al mio spazio materico non inutili didascalie ma titoli modulati su argomenti sociali ed etici dotati di dirompente provocazione, si possa far leva sul carattere costruttivo dell’ambiguità per fornire spunti e indizi capaci di attivare un canale comunicativo virtuoso, orientato al disvelamento delle possibilità di senso racchiuse nelle mie opere.

 

Le indicazioni su ciò che pensa l’artefice potrebbero presentarsi dunque come informazioni in grado di configurare lo statuto dell’oggetto, quindi non accessorie e ornamentali ma trasformative di uno stato.

 

In tal modo, colui che guarda, integrando la sua visione plastica (sguardo puro, diretto, ma fragile perché sottostà spesso a leggi esterne) con una serie di informazioni sul mio vissuto, assumerebbe un comportamento rispecchiato all’interno di uno “spazio condiviso” contagiato dal mio modo di agire, di pensare e dai miei stati emozionali.

 

Questo approccio, non più solamente intuitivo e contemplativo, non circoscrive più l’attenzione dell’osservatore solo sull’aggregato di sensazioni che le mie opere inducono ma potrebbe favorire una sua più ampia percezione nell’indagine delle qualità formali,  contaminate dalla conoscenza dell’altro (l’artista).

Circostanza questa che portando alla saldatura tra l’emozione, che procede per similitudini e metafore, e la ragione di chi guarda potrebbe essere un viatico per suggerire ulteriori percorsi di lettura delle mie immagini.

 

Non conta ciò che appare ma ciò che viene percepito.

 

L’interazione con l’opera si articola così per mezzo di un rapporto di relazione, in risonanza congruente con l’artefice dell’oggetto inanimato, condividendo l’esperienza delle sue emozioni e la sua interpretazione del mondo.

 

Si rimuove lo strato scuro di impenetrabilità filtrando lo sguardo attraverso il velo della conoscenza senza però dare mai certezze.

 

L’opera - presente, unica e legittimata da informazioni vere - ostenta i suoi splendori, accenna alla sua storia e in quanto essere lì in carne ed ossa, chiede all’osservatore di essere scrutata, di essere riconosciuta come l’esito di un lavoro di cui conserva gelosamente le tracce.