Non pretendere di cambiare l’uomo ma cercare di renderlo consapevole
La pittura contemporanea, pur echeggiando un metodo antico, rimane ancora un efficace canale comunicativo, alternativo ai media, purché venga sottoposta ad una revisione concettuale. Va ripensato non il modo di fare quadri ma il modo di come intenderli. Non pretendere di circoscrivere la ricerca su un improbabile e imprecisabile bello estetico ma concepire le opere come generatori di un linguaggio che sappiano parlare dei problemi della nostra esistenza seppur da un punto di vista particolare. Non esprimere solo indignazione e tormento ma cercare di risvegliare le coscienze per neutralizzare gli effetti terribili di una economia fondata sul profitto a breve termine e di una cultura che vuole semplificare tutto. Occorre non restare inermi di fronte all’indebolirsi dei principi democratici, per evitare che i sinistri figuri che affollano i tanti populismi, utilizzino la disperazione e la rabbia per creare il bisogno di un capo ciarlatano. Solo l’assunzione di una robusta responsabilità individuale e cooperativa può aprire una prospettiva di crescita collettiva e condivisa evitando di rimanere prigionieri di un destino ostile, opprimente, confezionato da pochi altri: chiedersi quindi come vivere meglio e come fare.
Lo spazio della nostra mente è abitato da immagini, pensieri e esperienze accumulati, strutturati e scambiati nel tempo che ci forniscono una visione (probabile) dell’oggettività che ci permette di adattarci al contesto ambientale in modi non genetici.
Intervenire sullo sguardo, suggestionandolo, contaminandolo, disorientandolo per fornire dinamicità al processo interpretativo potrebbe modificare la linearità della percezione inoculandola di insidie e dubbi, conducendola a confrontarsi con quelle incertezze, quelle ombre che governano la nostra vita. E consentire, allora, all’osservatore di farsi un’idea di una altra e auspicabile oggettività da avvertire però come prossima, appena “dietro l’angolo” dove potersi liberare dal torpore, dallo sconcerto e dall’opprimente cupezza che aleggia nel nostro tempo.
Una possibile soluzione Schema analogico di come concepisco le mie opere per fornire un contributo all’idea di cambiamento
Il raggio incidente è il titolo che deve suggestionare l’atto psichico interpretativo. Il prisma rotante è il quadro “annodato”. Un oggetto che evoca rigore formale e sentimento, precisione e indeterminatezza: ambiguità ma non vaghezza. Lo spettro è la molteplicità degli aspetti della realtà visto con uno sguardo ibridato.
Ripensare l’azione del vedere attraverso l’impiego del nodo a cui compete l’efficacia narrativa, può eccitare l’immaginazione in modo che le proprie idee giungano a concettualizzazioni a priori impensabili e ad una nuova cognizione sul senso più ragionato delle cose. L’oggetto reale (il quadro) e l’oggetto rappresentato dal titolo pur non avendo relazione semantica tra loro, costituiscono tuttavia una combinazione posta provocatoriamente in essere per spiazzare, per rimandare di continuo dal certo all’incerto, dal tangibile all’intangibile. Una sfida proposta all’intelligenza che costretta a lavorare su assunzioni che portano a risultati contrastanti, senta il bisogno di ricercare una congruenza, un filo conduttore e di albergare. Un percorso lungo il quale si affollano e si fondono molteplici pensieri nella consapevolezza o presunzione di essere parte costitutiva dell’opera.
Se l’osservatore si lascia coinvolgere e partecipa al “gioco concettuale” proposto scoprirà come questi pensieri si connettano, si intreccino fino alla risonanza. Sarà possibile, allora, scrutando il visibile impadronirsi anche dell’invisibile o dell’altro, fondere il controllabile e l’imponderabile in un processo mai definitivo, inesauribile per approdare ad un universo configurato da immaginazione e ragionamento: una nuova oggettività.
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