C’è ben altro da
vedere oltre ciò che riconosce il nostro sguardo
“Trista quella
vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode,
non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli
occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la
sensazione”
Zibaldone di
pensieri - Giacomo Leopardi
Non è semplice far germogliare un
sentimento di sospetto e speranza che abbia la qualità di
trascendere il mero dato oggettivo ritenendo che, in fondo, ci
sia in ciò che si sta guardando qualcosa che valga la pena
scoprire e magari comprendere, seppur in modo incompleto.
E’ un’impresa certamente non facile riuscire a rimuovere la
pigrizia di giudizio o l’angoscia per l’imprevisto di un
interlocutore, sfidandolo in una prova di coraggio che lo
“costringa” ad affrontare un’esperienza che gli richiederà
fatica e impegno. Vale a dire, lo induca a porsi l’onere di
elaborare concetti interpretativi di un oggetto “non innocuo”,
esponendosi tra l’altro al confronto con l’incertezza, nella
consapevolezza che solo un approccio fondato sulla curiosità sia
la via maestra per conoscere.
A questa scommessa mi sottopongo appoggiandomi al mondo delle
idee, custodi dell’invisibile, per andare oltre l’illusorietà
dell’apparenza e varcare la soglia di ciò che si sottrae al
nostro sguardo.
Ho sempre cercato con tenacia di percorrere linee espressive che
risultassero quanto più possibile originali e riconoscibili, il
cui senso affondasse le radici nel dramma della condizione umana
e facessero della tridimensionalità una componente fondamentale
della loro sintassi.
La geometria, oltre a fornire un metodo per la rappresentazione
di ciò che ci circonda, offre anche un’opportunità per
testimoniare il “corredo di cose” che danno valore aggiunto ai
quadri.
Il registro geometrico garantisce, infatti, una moltitudine di
prospettive - non solo fisiche - da cui guardare un’opera
proponendo una molteplicità di visioni che conducono a concepire
un’arte idealizzata.
Concretamente i miei quadri, costruiti in modo che ogni elemento
sembra non giungere ad uno stato di quiete, sono capaci di
determinare nell’osservatore un’azione motoria quale ripetizione
istintiva del processo realizzativo posto in atto, costituito da
annodamenti, compressioni e dilatazioni.
Ritengo che la nostra esperienza percettiva del mondo sia il
risultato di processi di integrazione multimodale di cui il
sistema motorio è attore principale.
Pertanto l’inferenza sul movimento, seppur virtualmente
percepito, può contribuire, in assenza di giustificazioni orali,
a dar “forma visibile” all’esperienza mentale di chi lo ha
prodotto, svelandone in parte il travaglio psicologico.
Raccogliere frammenti di riflessioni e suggerimenti scaturiti
dall’esame di detto movimento e ricomponendoli poi in un mosaico
interpretativo, aiuta a trovare inaspettate e probabili chiavi
di lettura dell’opera. Potrebbe, allora, emergere dall’ombra una
parvenza di significato a condizione che si sia però disposti ad
affrontare il rischio di abbandonare strade già battute, le più
sicure, pur di arrivare a una destinazione.
Quando lo sguardo modifica e migliora la concettualizzazione di
ciò che osserva, acquisisce una forza visionaria tale da
consentirgli di vedere più lontano ed esplorare nuovi territori:
opporsi all’ovvio può diventare senz’altro una virtù.
Il nodo - al di là delle sue implicazioni psicologiche,
simboliche e lessicali, è l’oggetto deputato a configurare
topologicamente la materia della “superficie pittorica”, potente
mezzo di traduzione del pensiero, a cui conferisce una
dimensione e un ritmo intrecciando indissolubilmente allo spazio
prodotto il tempo, impiegato per la sua formazione, e generando,
di conseguenza, un disordine controllato che dà l’idea del
movimento.
Il nodo genera volumi ridondanti, non riconducibili a semplici
combinazioni di figure ingenue, che sollecitano a variare
continuamente l’angolo di osservazione per poterne cogliere
tutti gli aspetti peculiari.
L’opera appare governata da una particolare legge di gravità che
spinge dall’interno verso l’esterno disvelando “verità
matematiche” nascoste.
Si riesce, così, a integrare l’esercizio dei sensi con le
fantasie dell’immaginazione che non conoscono ostacoli e non
temono il viaggio nell’inverosimile.
Il processo costitutivo del nodo, deforma gradualmente la
materia e incurva di conseguenza anche lo spazio circostante, il
suo “calco”, trasformandone la geometria da euclidea in
iperbolica o ellittica, con tutte le conseguenze a cui tale
contingenza rimanda. Dalle cose visibili all’illusione delle
cose invisibili, vale a dire la superficie del quadro non
rappresenta un limite ma è il discriminante della contiguità tra
il tangibile e il mondo dell’irrappresentabile, estremizzando,
un confine tra il profano e il sacro.
Il mio fare è sostenuto anche dalla necessità del titolo per
variarne il gradiente di complessità sicché, assecondando
l’inclusione di relazioni trasversali, possa creare un transito
verso un’umanità espressa da forme senza figure.
Infatti per potenziare l'iterazione tra la
passività della visione e l'attività del pensiero, stimolo della
sensibilità e della significazione, tento di favorire -
attraverso l'equivoco, lo choc percettivo - un'esperienza
estetica che, sottratta al giogo degli automatismi, vada oltre e
contribuisca a suggestionare e disorientare l'azione dello
sguardo, liberandolo dall'abitudine di vedere le cose sempre
nello stesso modo, senza alcun impulso creativo, e riuscire a
decodificare segni ed elaborare concetti astratti.
Ricorro, in particolare, ad un artificioso inganno di
contestualizzazione combinando provocatoriamente l’oggetto reale
(il quadro) con l’oggetto rappresentato dal titolo (un riflesso
del mio vissuto), senza che esista tra loro un’attinenza
semantica.
Un azzardo che ha la presunzione di contrapporsi
all’impoverimento del “capire” verso cui ci sta portando il
consumo di immagini offerto dalla tv e da internet.
Il processo interpretativo, così, inoculato di insidie e dubbi,
trascende il limite logico delle parole e oscillando tra il
certo e l’incerto, per effetto dell’efficacia narrativa del
nodo, viene indotto a confrontarsi con quelle incertezze, quelle
ombre che governano la nostra vita.
Una sfida proposta all’intelligenza che costretta a lavorare su
assunzioni dai risultati contrastanti, sente il bisogno di
ricercare una congruenza, un filo conduttore e di albergare.
Se l’osservatore si lascia coinvolgere e partecipa al “gioco”
proposto avrà la consapevolezza di essere parte costitutiva
dell’opera e scrutando il visibile potrà impadronirsi
dell’imponderabile, dell’improbabile in un processo mai
definitivo e inesauribile per approdare ad una nuova oggettività
in continua mutazione.
L’immagine, allora, tende a tradurre la realtà in un linguaggio
che usa il nodo come simbolo universale e l’inosservabile
trasforma il quadro in un contenitore di significati inattesi,
determinando non solo illusioni per l’occhio del corpo ma anche
e soprattutto allusioni per la “retina” della mente.
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