Da artefatto ad artefice
“Siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo.” Carlo Rovelli
Le nuove frontiere della fisica ci dicono che la natura nel suo complesso non è un aggregato di materia inerte ma è fatta di strutture in continuo “movimento” che scambiano tra loro energia, informazione e materia. Inoltre, è difficile sostenere che esista una realtà unica perché essa è il risultato della costruzione mentale di colui che guarda intento a ricercare affidabilità per orientarsi e non avere certezze. E ancora, le persone interagiscono in continuazione le une con le altre e trasformano tali relazioni in informazioni. L’informazione agisce come vincolo e modifica il nostro ordine “mentale”.
Quindi la struttura concettuale dei nostri pensieri, attraverso un processo complesso e integrato, rispecchia tutta questa raccolta e scambio di informazioni che sono continuamente ri-elaborate, ri-classificate seppur non sempre organicamente.
Proprio sulla base di tali presupposti, dobbiamo intendere l’opera come un organismo che ubbidisce alle stesse “leggi della natura”, considerandola quindi non un semplice artefatto da contemplare ma piuttosto un artefice, cioè in un sistema sensibile in grado di comunicare. Ritengo allora necessario “fornire la parola alla materia” perché il vedere e il sentire congiunti mettano l’osservatore nella condizione di costruirsi un’immagine che abbia incisività e significatività tali da produrre senso e contenuto, presentando accattivanti opportunità di lettura che vanno oltre il dato meramente sensoriale.
Uno dei modi per ottenere questo risultato è aumentare i margini di ambiguità dell’opera, sottoponendola al riverbero delle dinamiche valoriali del contemporaneo, in modo che l’accresciuta complessità faccia sentire l’urgenza e il desiderio per una irrinunciabile interpretazione e comprensione. Un approccio partecipativo che rendendo coevi cognizione ed emozione, consente al fruitore di divenire - in tal modo - pienamente protagonista, ovvero parte integrante del processo di creazione di senso dell’opera, moltiplicandone i “livelli di racconto” e permettendo, di conseguenza, un arricchimento della dimensione esperienziale.
Nel fare quadri mi sono sempre posto un obiettivo di relazione, ovvero appagare la sensibilità dell’osservatore, tenere alto il suo interesse, rifuggendo dall’ovvio e mettendolo nelle condizioni di trasformare il guardare in un attività speciale, irripetibile altrove. A tal fine ho fatto ricorso alla forza seduttrice della materia a cui ho affiancato concetti di stringente attualità - appartenenti al mio vissuto, per coadiuvare l’immaginazione nel cercare molteplici interpretazioni dell’opera e giungere alla convinzione (seppur illusoria) di comprenderne ed, eventualmente, apprezzarne le innumerevoli singolarità nascoste. |