Coesione molteplice
“La
materia dice allo spazio come curvarsi, lo spazio dice alla
materia come muoversi”
John Wheeler - fisico americano
“La natura di un uomo non è data dalla sua conformazione
fisica interna, ma dalla rete di interazioni personali,
familiari e sociali in cui esiste. Sono queste che ci ‘fanno’,
queste che ci custodiscono. In quanto ‘uomini’, noi siamo ciò
che gli altri conoscono di noi, ciò che noi stessi conosciamo di
noi e di ciò che gli altri conoscono di noi. Siamo complessi
nodi in una ricchissima rete di reciproche informazioni”
Carlo Rovelli - ‘La realtà non è come ci appare’
Premessa
Un quadro
è una realtà multidimensionale dove coesistono
una dimensione formale e materiale, una sociale e culturale, e
una ambientale, tutti aspetti questi che seppure si possono
distinguere e trattare singolarmente non si possono però né
isolare né rendere non comunicanti.
È tale circostanza che configura
un’opera come un sistema complesso, cioè come un sistema
organizzato al contempo unitario e molteplice, qualcosa di più e
al tempo stesso qualcosa di meno della somma delle sue parti. La
totalità e le parti interagiscono continuamente influenzandosi
reciprocamente. Qualcosa di più perché l’unione delle parti fa
emergere qualità che senza tale unione non potrebbero esistere.
Qualcosa di meno perché, a volte, il frammento manifesta una
capacità evocativa e espressiva tale da polarizzare
l’oscillazione percettiva, rovesciando la dipendenza della parte
dal tutto.
E’ impensabile ritenere le opere,
anche quelle non interattive, come componenti distinte e
separate dall’osservatore (che senso avrebbe un’opera esposta al
buio?): l’osservatore infatti è sia produttore che consumatore
del contenuto.
L’osservatore, quindi, deve disporre di una strategia per
orientarsi e affrontare la complessità, cioè l’incerto e il
casuale, pertanto non potrà ignorare nessuna delle dimensione
dell’opera perché in tal modo non potrà avvalersi di un metodo
che assecondi la sua aspirazione a interpretare più
compiutamente, cioè essere parte nella sua osservazione e nella
sua concezione. La conoscenza rende la fruizione più
“consapevole”, cioè amplifica la quantità di percorsi di lettura
delle opere e quindi accresce la probabilità di “individuarne”un
senso.
Alcuni
aspetti delle mie opere e le relazioni che intercorrono fra di
loro.
L’intenzione
L'obiettivo è ricercare una forma che
organizzi e interpreti il disordine, inteso non come categoria
astratta ma come espressione del reale, del limite che ci
scuote, di ciò che inceppa la macchina ben oliata della realtà.
La realtà risponde a un certo ordine naturale (il sole sorgerà
anche domani), non ha più bisogno di interpretazioni, ha smesso
di farci domande, è il velo che copre l’imprevisto e ciò da cui
non si può fuggire. Il reale, invece, è scabroso, disorienta le
nostre aspettative, è dirompente, è il lato drammatico della
vita, è l’apparenza della complessità.
Il titolo
Il titolo dato ad ogni opera non è una sterile didascalia ma è
l’organo motore che porta - non in termini strumentali,
propagandistici e illustrativi - la vita nell’opera stessa per
dare forma alla visione disincarnata del pensiero in modo che
possa essere percepita dall’occhio del corpo.
La contaminazione delle opere (non simboliche) con titoli
apparentemente incongruenti ha la funzione di rendere la
fruizione non solo emotiva e contemplativa, relegata nel
ristretto recinto del gusto, ma la percezione deve sentire
l’urgenza di una coscienza critica e lucida che dia consistenza
all’immaginazione per uscire dai limiti e dalla povertà
dell’esperienza contemporanea.
Il linguaggio dell’occhio (emozione) contagiato dalle parole
(cognizione) favorisce un’esperienza estetica, non lineare, in
cui l’opera si presenta non solo auto-referente ma, in quanto
oggetto culturale, accenna anche alla storia e alle sue
contraddizioni, consentendo alla soggettività di mettersi in
armonia con il mondo.
E’ indiscutibile che le immagini ci parlano in modo diverso
dalle parole ma le parole possono richiamare l’attenzione di chi
non pensa mai a “guardare”.
Le opere sono concepite su un’idea intuitiva di “macchina”,
configurata come una combinazione di pensiero e immagini, per
generare nell’osservatore l’idea che la cultura
dell’omologazione - funzionale al sistema - crea un sensazione
di insignificanza e dissolve le consapevolezze.
Concezione questa che tende a stemperare l’incompiutezza
dell’opera, consentendole di avere un fine, cioè di svolgere un
ruolo di stimolo verso quelle menti spente e assopite che
alimentano la storia delle apatie e delle crisi di ideali. Opere
che si presentano come un laboratorio intellettuale, dove si
fondono attività manuali ed esercizio del pensiero, nel
convincimento che in questa fase storica ogni artista sia
chiamato a fare qualcosa di più che stimolare un mercato di
collezionisti feticisti, ovvero debba sentire il dovere di
restituire umanità allo sguardo liberandolo dalla smania del
profitto.
Il segno
L’impiego del nodo, nelle mie opere, nasce dalla consapevolezza
della complessità della condizione umana. Il nodo infatti per la
sua natura, ambigua e non vaga, incarna efficacemente il
concetto di complessità; caratteristica che gli deriva
dall’essere, pur nella sua unicità oggettuale, elemento che
riflette per trasposizione i molteplici significati diversi che
il vocabolo nodo può assumere. Ma c’è di più. La dinamica
dell’interazione dell’osservatore con l’opera e il suo titolo
(sguardo e pensiero) stabilisce un assestamento
dell’oscillazione percettiva nell’intorno del nodo fisico che
acquista la valenza di attrattore. Ciò conferma come l’opera sia
effettivamente un sistema dinamico, quindi, non specchio passivo
ma un mezzo per catalogare e rivisitare il reale.
Il nodo è anche un segno che dà riconoscibilità, è un modo per
organizzare lo spazio, il movimento e la dimensionalità.
Il nodo disvela il principio vitale che fa germogliare nella
materia inerte un moto temporale e spaziale: il nodo deforma la
materia, la forza per deformare i corpi impiega del tempo, il
tempo articola gli spazi e conferisce ritmo all’opera.
Lo spazio-tempo
Esiste un’interconnessione dei rapporti temporali e spaziali
all'interno delle mie opere, o meglio, lo spazio proponendo se
stesso allude anche alla dimensione del tempo.
La conquista dello spazio si attua con il distacco della materia
dal supporto attraverso la realizzazione di superfici aggettate
in una dimensione non euclidea diventando ipotesi
architettoniche iperboliche.
Il tempo viene avvertito attraverso la struttura delle forme,
vero e proprio paradosso barocco; idea però tutt’altro bizzarra
se si pensa che, comunemente nella vita di tutti i giorni, si fa
ricorso a categorie specifiche dello spazio come avanti/dietro,
prima/dopo per dare significato al tempo.
Le opere, pur nella loro staticità, non danno di sé un’immagine
con esito finito, cioè formate, ma in formazione, in divenire in
quanto apparentemente capaci di assumere ulteriori
configurazioni topologiche attraverso virtuali manipolazioni
della superficie. Infatti l’esperienza della visione è capace di
suscitare in chi guarda un genere di conoscenza fisica oltre che
“spirituale”. L’opera materica, oltre a impegnare la mente,
comunica anche all’osservatore una reazione empatica, un’azione
motoria quale ripetizione istintiva del processo creativo, fatto
di dilatazioni e compressioni, segni di respiro e pulsioni che
evocano lo scorrere della vita, ogni attimo della quale risulta
conseguenza del passato e prefigurazione del futuro.
La materia
L’origine dell’opera è una cosa destrutturata, con
“manifesta vocazione alla trasformazione”, che viene fatta
evolvere in modo iterativo attraverso semplici manipolazioni. La
successione delle iterazioni termina quando la forma formata non
offre più stimoli al suo cambiamento in quanto il risultato
ottenuto appare inaspettato, elegante e complesso.
La materia è usata come fonte di tensione e di ordine
compositivo. La scelta, l’accostamento e la manipolazione di
materiali eterogenei danno corso a nuova vita, aprono la
percezione a nuove possibilità. Quindi indagare la materia non
vuol dire scoprire una bellezza ma l’anima del nostro tempo.
Un’operazione svolta con meticolosità per suggerire senza traumi
una forma, per passare dal caos del processo all’idea
compositiva e riscoprire il dominio della coscienza. Una visione
estetica in cui la forma non nasce dal coordinamento di un
insieme di parti distinte e unite armonicamente ma da un’unione
in cui ogni singola parte ha perso la sua autonomia e
singolarità, approdando a una coesione molteplice. Un fare arte
che va oltre l'esperienza informale senza rinunciare
all'espressività e al dramma, pretendendo di poter sostenere lo
sguardo collettivo e creare quindi le condizioni necessarie per
dedurre senso dalla esplorazione della fisicità della materia.
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