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				 Il nodo è il punto 
				di sparizione della forma e della sua trasformazione in processo 
				  
				 
				“Siamo nodi di una rete 
				di scambi nella quale ci passiamo immagini, strumenti, 
				informazioni e conoscenza.” 
				Carlo Rovelli 
				 
				Gli archetipi sono “principi ordinatori e formativi di 
				immagini“ e svolgono “la funzione di ponte tra percezioni 
				sensoriali e idee.” 
				Wolfgang Pauli 
  
				Nel 
				novecento la consapevolezza che il tempo e lo spazio non sono 
				assoluti ma intimamente legati fra loro, l’evidenza del limite 
				dell’empirismo, le idee sulla completezza e coerenza hanno avuto 
				una ripercussione non solo sul pensiero scientifico ma anche 
				sull’evoluzione della cultura in generale. 
				 
				La concezione del mondo che la scienza moderna ci ha fornito ha 
				irrimediabilmente interrotto lo sguardo dell’occhio sulla natura 
				e la tecnologia ha sconvolto comportamenti consolidati 
				determinando cambiamenti epocali.  
				 
				Di conseguenza gli artisti, quelli più attenti ad interpretare 
				il clima del tempo, sono stati costretti a ridefinire il loro 
				ruolo, rinnegando quelle abitudini dell’immaginazione 
				addomesticata dalla tradizione e ripensando la spazio come 
				generatore di forme particolari di socialità e di cittadinanza. 
				 
				Lo sguardo puro è il primo atto per determinare un tipo di 
				esperienza, ma fornisce solo una rappresentazione approssimata, 
				opaca e spesso ingannevole della realtà. E’ lo sguardo sostenuto 
				dal complesso delle conoscenze, competenze e dal dubbio, invece, 
				che apre la strada alla scoperta di una moltitudine di orizzonti 
				alternativi che la ragione organizza in schemi di pensiero, mai 
				definitivi, per rendere visibile l’invisibile e padroneggiare 
				più efficacemente l’esistente. 
				 
				Sempre più consapevoli che le proprietà delle cose sono meno 
				intrinseche di quello che si crede in quanto risultato di 
				interazioni, siamo indotti a non pensare più il mondo in termini 
				di cose ma di processi. 
				 
				(La 
				dolcezza non è una proprietà dei legami chimici ma è la 
				conseguenza di un’esperienza sensoriale: le molecole di zucchero 
				interagiscono chimicamente con le papille gustative che 
				comunicano con una serie di neuroni) 
				 
				La ricerca estetica si è spinta oltre il dato sensoriale, 
				ha abbandonato la visione dell’esterno delle cose preoccupandosi 
				non più di informare ma di comunicare, non più di riconoscere ma 
				di conoscere, si è passati dall’ambizione di “dare forma” alla 
				volontà di “mettere in comune”. 
				 
				Spesso nel passato la finalità dell’arte è stata quella di 
				facilitare il rapporto con un mondo, modellato dalla mano di 
				Dio, agevolando l’osservatore a “orientarsi” nella vita 
				asservendolo però ad una struttura di convivenza predefinita. 
				Poi, con l’avvento dell’era moderna, è divenuta priorità dare 
				significato alla realtà attraverso la comunicazione che, seppur 
				non esplicita e posta oltre i limiti del linguaggio 
				convenzionale, garantisce il dialogo e lo scambio. 
				 
				Al fine di mettere concretamente lo spettatore in “rapporto 
				diretto” con le dinamiche del nostro tempo, credo sia necessario 
				far riferimento in una “presentazione” al dramma per dare 
				energia, voce ed efficacia alle immagini. 
				 
				Ritengo che, solo in tal modo, il fare quadri possa contribuire 
				a migliorare il corso delle cose, ovvero sviluppare la capacità 
				di inventare forme di convivenza più sostenibili ed eque, dando 
				ragionevolezza al mondo che verrà. 
				 
				Questa consapevolezza mi ha spinto a individuare nel nodo 
				l’elemento invariante che, oltre a determinare configurazioni 
				possibili ma improbabili, portasse un ordine nel disordine di 
				forme disanimate. Un espediente intellettuale che, mettendo in 
				campo un particolare protocollo, comunque garante della 
				comunicazione, rendesse il messaggio sorprendente e inaspettato 
				tanto da richiamare l’attenzione dell’osservatore, favorendone 
				l’interesse per il confronto e la condivisione. 
				 
				Il nodo è il segno che in unione con “formule di pensiero” - 
				espresse nei titoli, si fa matrice genetica del processo 
				immaginativo che vuole irrompere nella sfera esistenziale 
				dell’osservatore, svolgendo una funzione simbolica che non fa 
				riferimento, attraverso allusioni e metafore, ad una realtà 
				figurativa ma si colloca in una dimensione creativa per 
				promuovere conoscenza.  
				 
				Il mio obiettivo è quello di “storicizzare” un artefatto per 
				trasformarlo in un moltiplicatore di senso e significati 
				facendo leva sull’ambiguità del nodo - operatore geometrico - 
				legato ai precetti del mio vissuto, apparentemente incongrui con 
				l’opera ma promotori di implacabili e, a volte, inquietanti 
				domande. Solo così l’immaginazione confrontandosi con un 
				impossibile, non più percepito come entità inaccessibile o 
				ostacolo ma come luogo privilegiato di scoperte, può trovare 
				“cose” inaspettate che prendono forma e sostanza in sentimenti, 
				emozioni, intuizioni e riflessioni. 
				 
				Intendo costruire, attraverso la contestualizzazione dell’opera, 
				una consequenzialità del pensiero razionale - articolato su un 
				tempo esteso - che giunga all’elaborazione del vissuto come 
				esperienza; quindi evito, con convinzione, di formulare una 
				proposta di tipo autoreferenziale perché - in quanto orfana 
				della cornice di riferimento, vincolata solo all’enfasi 
				dell’istante, contratta e ripiegata sul presente immediato, 
				circoscritta esclusivamente alla sfera del gusto e, dunque, 
				irriflessiva - la ritengo sterile e muta, lontana 
				dall’irrinunciabile competizione delle idee, degli ideali, 
				privi-legiato fattore di crescita. Le 
				scoperte nascono da dati inattesi che richiedono spiegazioni 
				nuove. 
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