Sentire e
Spiegare
“La spiegazione di un’emozione non è un’emozione”
Eric R. Kandel
“La scienza vuole la regola, perché essa toglie al mondo il
suo aspetto pauroso”
Friedrich W. Nietzsche
I colori non sono del mondo ma
hanno “solamente lor residenza nel corpo sensitivo”
Galileo Galilei
Costruiamo la realtà che viviamo dai dati creati dal cervello
sulla base delle stimolazioni elettrochimiche prodotte dagli
organi di senso ma il cervello ci permette di costruire anche
un’altra realtà diversa, quale conseguenza della ricerca
razionale, quella del pensiero scientifico. Le due realtà
coesistono e si integrano all’occorrenza, nel senso che noi
viviamo nella terra piatta e immobile anche se sappiamo non
essere così.
Non esiste solo l’oggettività “cognitiva” (quella della scienza)
e altre verità un po’ meno vere, perché ritenute legate
all’emotività e al sentimento, a tutto ciò che è indefinito,
instabile, sfuggente a ogni tentativo di analisi sistematica.
E’ plausibile che tutto l’universo umano trovi una definizione
nelle ipotesi scientifiche?
La “verità” è relativa e molteplice e mai definitiva.
La scienza e l’arte hanno entrambe piena legittimità
gnoseologica in quanto sono due linguaggi che pur agendo in aree
contigue e distinte sono animate dal profondo istinto di
comprensione del mondo e dell’appropriazione di esso: entrambe
fanno parte della vita e per questo parlano di essa.
Esse contribuiscono a fabbricare forme d’intelligenza analitica
che possono essere, da punti di vista diversi, applicate ai
fatti.
La scienza tende a indagare il mondo in modo “ragionevole” e
“metodico” aspirando a una universalità, verificabilità e
riproducibilità nel tempo e nello spazio, dando ordine e
omogeneità alla realtà. Non leggi eterne, ma leggi che valgono
finché non si trovano ipotesi in grado di fornire maggiori
spiegazioni, non cose vere ma cose esatte.
L’arte, diversamente dalla scienza, fa i conti con
l’irrazionale, l’atipico, l’intuitivo, l’imprevisto, la
molteplicità, l’inesattezza, l’irregolarità, muta con la storia
collettiva e individuale, e pertanto si configura come un utile
ed efficace strumento per la confrontabilità di dati in origine
molto distanti tra di loro, risultando una sorta di lente che
consente specifiche e particolari tipologie di messa a fuoco.
Per chiarire l’idea faccio riferimento alla cognizione
dell’esperienza sensoriale ed emotiva del dolore per evidenziare
come venga affrontata dalla scienza e dall’arte.
La scienza, mossa dalla ricerca di un principio di casualità,
osserva il dolore come un effetto soggetto a una causa cercando
le regole che determinano l’accadere degli eventi al fine di
porvi rimedio. La scienza agisce, quindi, perché si riduca lo
spazio di imprevedibilità e del conseguente sentimento
d’angoscia.
L’arte, invece, affronta il dolore secondo un’ottica che va al
di là delle sue determinazioni particolari. Il dolore diventa il
nodo di una riflessione sul concetto di precarietà della
condizione umana, un richiamo alla finitezza dell’esistenza, un
cenno ai valori di tolleranza e solidarietà, e tant’altro
ancora. L’arte non tende quindi a rimuovere l’angoscia per
l’ignoto ma ne da un’interpretazione, un senso.
Dunque, due piani d’indagine paralleli e incomunicanti che
offrono scenari complementari per la comprensione, non
definitiva, di un fenomeno.
Ci sono, tuttavia, momenti della vita nei quali l’arte e la
scienza non risiedono in contesti distinti ma interagiscono nel
processo di formazione della visione del mondo, come ci ricorda,
a titolo di esempio, l’esperienza di Galileo. Lo scienziato, in
virtù della sua discreta abilità di disegnatore, seppe
attraverso il cannocchiale, diversamente da tutti gli altri
astronomi dell’epoca, interpretare correttamente le macchie
scure sulla luna come ombre, circostanza che gli permise di
scoprire la rugosità della superficie lunare. E ancora,
prigioniero della sua cultura platonica, diede invece tanta
importanza alla bellezza e alla perfezione del cerchio da non
riuscire a comprendere che le orbite dei corpi celesti fossero
ellittiche.
|