Indietro Robertomaria Siena

Testo critico sul catalogo della mostra “Complesso Musicale” alla Galleria Vittoria - Roma (15-30 aprile 2010)

Gualtiero Redivo e il nodo dell’esistenza

 “L’esistenza corrisponde alla realtà

singolare … essa resta fuori dal concetto.”

S. Kierkegaard

“Perciò, o l’Essere o l’esistenza … Se l’Essere è ... , l’individuo non è.”

P. Flores d’Arcais

 

Gualtiero Redivo è un filosofo esistenzialista; tale dato di fatto è facilmente dimostrabile. Il Romanticismo Filosofico afferma che nell’uomo agisce una forza infinita; l’artista, al contrario, crede nel singolo in tutta la sua miseria ontologica. Il Romanticismo Filosofico crede in un ordine che garantisce le azioni umane; Redivo pensa che l’uomo è “gettato nel mondo” senza garanzie. Il Romanticismo Filosofico crede che la libertà sia infinita e assoluta; il nostro pensa che la libertà sia finita e condizionata. Il Romanticismo Filosofico è spiritualista; il maestro è un convinto materialista e così via; andiamo però a fondo e dimostriamo meglio il nostro assunto.

     Abbiamo parlato del “materialismo rediviano”; ora non è un caso che l’artista presenti “quadri non dipinti” o quadri dove la pittura comunque non è assolutamente egemone. Perché una tale scelta? Redivo teme le seduzioni della pittura; teme che tali fascinazioni possano allontanarlo dalla serietà dell’esistenza-materia. Da qui la conseguente adozione della “strategia dell’impurità” la quale viene assunta non tanto e non solo per confermare i legami con il lascito delle Avanguardie Storiche più radicali, quanto per richiamare (sempre e comunque) l’attenzione sulla datità dell’esistenza. Prendiamo in considerazione i nodi e le cuciture; da una parte, senz’altro, l’opera di Redivo può essere letta in chiave antireferenziale; dall’altra il lavoro del nostro è platealmente metaforico. Perché i “nodi”?

    Perché, per l’artista, l’esistenza è un nodo, un intreccio che nessuno può sciogliere; si pensi solo al viluppo che vede, dentro di noi, la coesistenza fra l’”amore di sé” e l’altruismo. Che il singolo sia poi al centro della meditazione di Redivo, lo dimostra abbondantemente il fatto che il nodo sta spesso al centro dell’opera. E’ questo un tratto squisitamente moderno della ricerca del maestro; il soggetto, infatti, è il frutto maturo della modernità e sono le forze antimoderne quelle che puntano ad affogare l’io nella società. Accanto ai “nodi” trionfano, in Redivo, le “cuciture”. Perché le “cuciture”? Queste appaiono nel momento in cui l’Esserci, gettato nel mondo, si trova immerso nella contingenza, e quindi si vede esposto alle infinite offese della realtà. Dinanzi a questa l’Esserci è costretto a ricucire i brandelli della sua vita che il mondo infinitamente slabbra e decompone. Come dicevamo all’inizio, da tutto questo è escluso l’ottimismo coltivato dall’Idealismo e dallo Spiritualismo; contemplando le opere del maestro, torna alla memoria l’ironia esercitata dal vecchio e malato Antonio Labriola nei confronti del giovane Benedetto Croce in fregola, appunto, di Idealismo. Da qui la scelta rediviana di una materia densa, scabra, antiplatonica, percorsa da mille alterazioni e da innumerevoli gibbosità. Questa materia è, al contempo, sia l’essere-in-sé che l’Esserci in tutta la sua problematica fisicità. Da tutto questo si evince ciò che Redivo pensa dell’arte.

    Qualsiasi artista, infatti, nel momento stesso in cui si mette a sgranare il rosario dei suoi lavori, ci propone una precisa estetica e una precisa “filosofia dell’arte”. Quella del nostro si colloca vistosamente agli antipodi dell’edonismo di Matisse, per avanzare un solo esempio. Ancora una volta, tutta la ricerca di Gualtiero Redivo è terribilmente seria; seria perché incentrata sul “dramma dell’Esserci”. Il dramma di colui che vorrebbe essere Dio, ma che non può realizzare un tale sogno trovandosi fra le braccia di un mondo che non lo pensa come il proprio “apice”, e che lo intende come uno dei tanti enti la cui apparizione è dettata unicamente dal movimento privo di telos della contingenza.