Una vocazione senza privilegio
Mi è sempre stato caro un aneddoto a proposito della vita di Theodor Storm, da quando ho letto negli anni del Liceo le sue novelle pubblicate in sei volumi dall’elegante copertina tipografica nella Biblioteca Universale Rizzoli. Storm è il prototipo del poeta romantico tedesco, ma dei romantici vissuti non all’epoca della romantik rivoluzionaria, ma in quella successiva, più realisticamente borghese, dove era drammaticamente chiaro il bisogno universale di guadagnarsi la vita, guardandosi però dall’eccessiva dolcezza del Biedermeier. Storm non volle mai trasformare in una professione il suo lavoro d’artista, e per questo – nonostante il successo – continuò sempre ad insegnare lingua e letteratura tedesca. Così, ogni volta che vedo Gualtiero Redivo nella sede della Banca Intesa, mi viene in mente Theodor Storm. Che ci fa, infatti, un artista in una banca? Si educa alla vita quotidiana, rifiutando di credere che la sua vocazione sia un privilegio, e ponendosi insieme al riparo dai rischi di una possibile esaltazione autoreferenziale. Forse proprio la modestia dell’atteggiamento fa maggiormente risaltare la qualità del suo lavoro d’artista. Gualtiero Redivo è a pieno diritto un artista italiano, dal duplice – forse all’apparenza contraddittorio – riferimento a quella “catena di rivoluzionari” che è la tradizione. Il primo, centrale, la pittura informale e materica di Burri, immediatamente evidente fin dalla scelta dei materiali, plastiche del nostro tempo, accompagnate da nodi, e dall’evidente gusto del colore, del rosso e dei bianchi in particolare; contemporaneo anche nella configurazione di oggetti artistici che non si lasciano rinchiudere nelle due dimensioni della cornice, ma si protendono nello spazio. L’attenzione ai valori spaziali di Gualtiero Redivo, è però alimentata da una sensibilità esattamente opposta a quella di “Valori Plastici” e dei primi decenni del Novecento italiano. La corrispondenza elementarità – primitivismo – ai valori originari lascia il posto ad altre corrispondenze, quelle, leggermente inquietanti, dell’età della plastica, dell’inquinamento e del riciclo. E’ qui che interviene il secondo riferimento di Redivo, sicuramente più concettuale che formale, al dadaismo, al surrealismo, al gusto dell’opposizione e dell’altro modo della visione. Questo tocco conferisce una particolare leggerezza al suo lavoro, uno sguardo appassionato quanto delicato che si apre sulle possibili , a volte quasi opposte, visioni del mondo. Un’arte che chiede - è solo qui che diviene esigente - tempo, attenzione, mancanza di preconcetti all’osservatore. |