Testo critico sul catalogo "L'intelligenza dei nodi"
Intrecci di senso
A volte, forse, fanno bene i bambini. Sbagliano a pronunciare le
parole, ma solo perché ne intuiscono la natura complessa e,
alcuni errori in realtà, trasformano il suono in un simbolo
adatto al proprio significato. Ecco dunque che il "nodo" diventa
un "nodro", di modo che, quella di e quella erre insieme,
imitino nella pronuncia la forma dell'oggetto in questione. E
per rimanere in tema, un nodo non è mai una cosa semplice, se si
considera che, quello di imparare ad allacciarsi le scarpe, è un
traguardo fondamentale dell'età della ragione.
Un nodo è un contenitore sigillato, un meccanismo tanto più
complesso quanto più è articolata la sua forma.
Un nodo crea un legame stretto, magari indissolubile, o magari
soltanto apparente come in un gioco di illusionismo.
Ogni opera di Gualtiero Redivo contiene uno o più nodi e
ciascuno di essi è un'identità unica. Vi sono nodi a suggellare,
a chiudere ermeticamente e nodi talmente avviluppati su se
stessi da rimandare alla sola celebrazione della bellezza
d'insieme, svincolata dall'ipotetico uso. Poi vi sono nodi
recisi: nodi come appendici inette di un contenitore e contenuto
che non c'è più, o che forse, non c'è mai stato. Solo in alcuni
casi, piccoli e timidi nodi apparentemente analoghi fra loro,
sembrano galleggiare sulla medesima superficie pittorica come
esseri confusi e smarriti.
Redivo celebra il nodo. Ne enfatizza la forma, la purifica dalle
casualità, la rende portatrice di un proprio codice estetico e
ne risalta la materia, giustapponendola a un contesto che non è
mai dettato dal caso. È così che ogni pezzo - ma forse è più
appropriato chiamarle "sacche di senso" - diventa una storia che
si forma intorno ad un concetto. Ogni aspetto dell'opera pare
invitare il fruitore ad avvicinarsi al fine di stabilire un
contatto diretto: un rapporto - quello fra l’opera e chi la
osserva effondere il proprio senso - che va vissuto intimamente,
come una confidenza fatta sottovoce e lontana da sguardi
indiscreti. Una sorta di raccoglimento, di concentrazione sul
discorso che si intuisce da subito non essere affatto
superficiale; la necessità di godere di ogni piega e di ogni
grinza, di scoprire le piccole sfumature del colore e tentare di
memorizzare gli effetti che la luce e le ombre hanno sull'intera
resa, anch'essi non casuali. L'impulso di spiarne la stessa
materia, o meglio, i materiali: le morbidezze disilluse e le
ruvidità disvelate, quasi fossero leghe uniche o, semplicemente,
l'ambiguità della cellulosa che non ha ancora deciso se essere
carta o stoffa.
Nell'opera di Gualtiero Redivo la materia diventa una prostituta
che invita la mano a scivolarle addosso e il naso a inspirarne
l'aroma di canapa, cotone, colle o chissà... È così che l'opera
ammalia: forma, materia, colore, luci e ombre. Attira
all'interno del proprio recinto illusorio mentre tesse la sua
tela: quella che cattura, quella di un discorso a cui il titolo
dà principio. Ogni titolo è allusivo, carico di argomentazioni
sottese e di un profondo senso sociale, politico, o
semplicemente umano. E per quanto possa apparire estraneo o
disconnesso dalle informazioni visive che in quel momento si
subiscono, quel titolo ha già fatto scattare il meccanismo che
serra l'attenzione del fruitore all'opera e la annoda stretta: a
quel punto diventa essenziale trovare il nesso che, forse è
impalpabile, ma di cui si avverte l'imponente presenza.
Ecco perché ogni opera di Gualtiero Redivo richiede un desiderio
"famelico" di contatto, di gustarne indisturbati la forza
materica, l'ordine delle forme e le armonie cromatiche. È con il
supporto del titolo che divengono "sacche di senso" il cui
contenuto si ha la necessità di conoscere o, per lo meno, di
autoindursi a credere che se ne sia supposta l'esatta sostanza.
Forse dunque, non è altro che un'urgenza quella che induce a
cogliere attinenze tra il nodo informe di una cravatta o di un
papillon e le possibili maniere di politicare, o ancora, quel
sacchetto di tela che automaticamente diviene ovvia citazione
dell'elemosina, se non vera e propria indulgenza. Eppure,
incipit e termine di ogni discorso è sempre il nodo, anche
quando sembra muoversi e attorcigliarsi su se stesso come un
corpo imprigionato e anche quando sembra tanto simile a un
solidale abbraccio. Poi ci sono i colori: quelli di un sole che,
rifrangendo la sua ultima luce attraverso le spesse nubi,
dipinge un tramonto, un tramonto ad occidente. È facile
lasciarsi ingannare, perché ciascuna delle componenti dell'opera
(ma abbiamo detto "sacca di senso") ha gli stessi poetici orditi
del tramonto, ma è la trama, che il titolo fila, a far
tramontare non il sole, bensì l'occidente.
Gualtiero Redivo non svela l'arcano, ma lo ripete all'infinito.
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