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La poetica del nodo di Gualtiero Redivo
Confinati nelle strettoie dello spaziotempo, nella drammatica vicenda delle contraddizioni esistenziali, ci sfugge il disegno universale di cui facciamo parte, tessere di un immenso mosaico, frammenti interconnessi di un'indecifrabile, ma vitalissima Relazione. Tuttavia un grande entusiasmo ci investe ogniqualvolta riusciamo a stabilire un contatto e a superare i nostri limiti ampliando il nostro raggio d'azione. Se nulla è isolabile nell'universo, forse il vero senso dell'esistere sta proprio nell'interscambio, nell'osmosi, nella comprensione reciproca, nella cooperazione. Mi pare origini da qui la poetica del nodo di Gualtiero Redivo. Un nodo non è che un legame, un vincolo, un'espressione di complessità risolta in sintesi anziché in disintegrazione. Nodo come abbraccio, come comprensione del diverso, come conquista spirituale, evolutiva. Questi elaborati sono quinte di un teatro paradossale dove schiere di opposti s'inseguono al fine di unirsi, seppure in conflitto tra di loro. Caos e Cosmos funzionali l'uno all'altro. Semplice e Complesso in un solo respiro. Armonia di contrari, molteplicità dell'Uno. C'è il brivido di una ricerca costante che non lascia mai deluse le aspettative, senza per questo approdare a risultati tronfi, dogmatici, definitivi. Più di un elaborato fa riferimento al femminile ("Il mistero delle donne", "Quando tutte le donne del mondo"). L'allusione è al grembo, ad una sorta di archè, di principio elementare e unificatore della vita. A questo medesimo filone può ascriversi l'opera "La terra ha la febbre", che la dice lunga sulle pene della Grande Madre per colpa del suo figlio degenere, il bipede uomo. Il pianeta è sul punto di esplodere, la sua superficie risulta fortemente arrossata, e tuttavia possiede la forza di contenere ogni deflagrazione. Rimane integro e neppure laddove si smagli presenta ferite o scissure. Al più cicatrici (si osservi "Dalle cicatrici del passato si può costruire un futuro diverso") che consentono di proseguire fieramente nell'impervio cammino. L'uomo può costruire o distruggere soltanto se stesso. Il pianeta si rigenera, qualunque sia l'affronto subito. Una poetica, quella di Redivo, che si sviluppa nel filone dell'arte materica, all'incrocio con suggestioni neodadaiste e Pop. Polimaterismo, Assemblaggio, Arte Povera, unitamente ad echi novorealisti, il tutto teso verso rigori geometrici non estranei all'essenzialismo di Rothko. Agli strappi di Burri, che evidenziano i processi degenerativi della materia, il suo ridursi graduale a polvere e a terriccio informe, l'artista contrappone nodi, congiunzioni e punti di sutura, dando luogo ad un processo di superamento dei traumi, di guarigione delle ferite. E al contrario di Fontana, i cui tagli rappresentano varchi protesi verso l'infinito, qui l'Uno - irraggiungibile nella sua essenza - esercita una misteriosa attrazione nel Relativo.
La poetica del nodo di Gualtiero Redivo <Reale è solo ciò che è riproducibile in laboratorio?>
Potrebbe sembrare che la moderna società liquida (per dirla con Bauman), sia una società in crisi, priva com'è di punti fermi e di valori assoluti. In realtà, nell'odierno relativismo sta accampato un assioma incontrovertibile: la granitica certezza dell'incertezza. Una nuova forma di assolutismo che ha prodotto risultati eccellenti, ma che oramai, nel Postmoderno, è entrata in fase depressiva, diventando manierismo, moda senza più guizzi creativi. La spinta deflagrante delle avanguardie è venuta meno e la dissonanza ha smesso di essere dissonante. Quindi una monotona, stucchevole concordanza del discordante ha preso il sopravvento, lasciando il campo a un conformismo standardizzato, robotizzato di cui a sproposito si dice che sia cultura della crisi. <Parlare di crisi, ha detto Einstein, è creare movimento, adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo>. Ebbene, la poetica del nodo di Gualtiero Redivo ha il pregio di innestarsi nella cultura visiva dei nostri tempi, restituendo alla crisi il suo valore di fermento dinamico, creativo. Nulla a che vedere con i sopori dell'ideologia di massa che chiudono l'uomo dentro se stesso, svegliandone i mostri atavici, spaventosi. Il nodo, in fondo, vuole essere richiamo ad una sana tensione aggregativa. Simbolo di un legame, di un intreccio, di un vincolo, di una pacificazione. Qualcosa d'altro dalle violenze senza precedenti e dalle guerre scatenate dall'odierna omologazione. In parole povere e molto schematiche, la poetica di Gualtiero Redivo sta qui. Nella riproposta di quel principio fondamentale della vita cui diamo il nome di armonia dei contrari e che, riscoperto anche in fisica quantistica, sostiene che nulla è isolabile nell'universo e tutto fa parte di un'indecifrabile, vitalissima Relazione. Nodo, dunque, come abbraccio, come comprensione di ciò che è altro e diverso, come conquista evolutiva. Poetica del particolare, del frammento non inteso come dissoluzione dell'Uno, bensì come tessera di un immenso mosaico, battito di un'ignota e sfuggente pulsazione. Il titolo dell'opera presentata è un interrogativo: <Reale è solo ciò che è riproducibile in laboratorio?>. Non è una domanda appiccicata all'opera, ma è l'opera stessa a trasmettere quell'interrogativo. Accade spesso, nell'Arte Concettuale, che il titolo dell'opera sia parte integrante dell'opera stessa. Nel caso specifico, l'interrogativo proposto è fine a se stesso e non pretesto per un dibattito che conduca fuori dal seminato. La risposta già c'è, ed è la domanda stessa che, in quanto enigmatica, esclude l'afferrabilità del reale, la sua riducibilità ad una semplice formula, e dunque la sua riproducibilità in laboratorio. Nessuna realtà può considerarsi stabile. Il reale è metamorfico, concreto e fluttuante nello stesso tempo. Non è fotografabile, giacché le fotografie, fissando l'immagine, sono un artificio. Quindi non è riproducibile in laboratorio (senza nulla togliere all'importanza dei laboratori). Una poetica, quella di Redivo, che si sviluppa nel filone dell'arte materica, all'incrocio con suggestioni neodadaiste e Pop: Polimaterismo, Assemblaggio, Arte Povera, il tutto teso verso rigori geometrici non estranei all'essenzialismo di Rothko. Agli strappi di Burri, che evidenziano i processi degenerativi della materia, il suo ridursi graduale a polvere e a terriccio informe, l'artista contrappone nodi, congiunzioni e punti di sutura, dando luogo ad un processo di superamento dei traumi, di guarigione dalle ferite.
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