Testo critico su Atti Accademia Properziana del Subasio - Assisi (anno XIV - n°
3):
Arte Materica, Surrealismo
Astratto e Arte Povera
Arte materica, surrealismo
astratto, arte povera sono definizioni che ben si attagliano al
modo di comporre di Gualtiero Redivo. Senza nulla togliere
all’originalità che rappresenta un valore primario, le sue opere
ben si inseriscono in una tradizione che si è consolidata nel
dopoguerra in poi in Italia e all’estero e da Burri ha avuto
molti epigoni e diverse interpretazioni a vari livelli.
Tuttavia l’inquadramento in
contesti e definizioni non diminuisce affatto il portato di
creazioni che per altro fanno della simbiosi forma colore, a mio
avviso, il dato maggiormente incisivo della sua produzione, ben
più che la scansione esatta, che a prima vista potrebbe apparire
il dato più saliente, senz’altro funzionale al suo modo di
concepire, ma restringere a questo la lettura mi sembrerebbe
francamente una diminuzione, una limitazione dell’angolo visuale
verso la sua espressione.
La materia gonfia e cerca
spazio al di sopra del supporto e assume conformazioni
riconoscibili o alludenti, saturandosi di pigmento e fa
scaturire una sensualità che è variamente velata dal rigore
geometrico a cui l’artista cerca di ricondurla. La pregnanza
concreta di forme e cromie spinge, urta quasi gli spazi
preordinati e si insedia, forse al di là del volere dell’artista
stesso.
I nodi, le carni, gli alberi,
le lacerazioni, gli impasti palpitano e mettono in discussione
le regole, sono più urgenti delle sezioni auree e delle potenze.
Insomma conta di più il fascino della composizione nel suo
complesso, pur realizzata con materiali talvolta vili e colori
aggressivi, niente affatto meditati, di quanto non esuberi la
regola, la disposizione rigorosa, il ritmo.
L’impostazione dell’opera in
chiave armonica favorisce però una interpretazione in senso
classico. Perché l’equilibrio, determinato da giuste dosi, pur
nell’impianto che si basa soprattutto sulla materia volgare,
espulsa, di scarto, è un obiettivo sempre tenuto presente nel
lavoro, che a dispetto dei materiali e della loro provenienza,
risulta pulito, meticoloso.
Si potrebbe dire che il
rifiuto si riscatta, grazie alla cura che l’artista gli dedica
agendo con una nobile operazione di riciclaggio.
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Testo critico sul
catalogo della mostra “La macchina dei nodi”
“. . . perché questo è il
nodo”
È un progetto ambizioso quello che traccia e realizza Gualtiero
Redivo: far coincidere nel proprio lavoro etica ed estetica
tramite un’operazione che si basa sulla semplicità, sulla
minimalità delle forme, e contemporaneamente sulla densità dei
concetti, dei sentimenti, su un credo ferreo. Sostanze e stesure
sono manipolate a un grado base: stoffe colorate e disposte
grossolanamente sulla superficie, ripiegate a comporre un
disegno semplice, evocando casualità, apparente approssimazione,
basandosi sull’iterazione del quadrilatero, ma superando il
vincolo della bidimensionalità, divenendo coagulo di materia –
spazio – pensiero. L’artista affida alla ricercata semplicità
della forma la pregnanza del contenuto che è la sua
Weltanschauung di rigore morale, di fede, di aderenza a principi
di rispetto per l’essere umano, per valori antichi e non
transeunti in aperto dibattito con l’attualità: morale, sociale,
quotidiana. Tratto fondamentale del suo procedere artistico è il
nodo, che si configura non soltanto cifra stilistica, grafema
costante, ma richiamo obbligato ad una sosta logica, ad una
riflessione sui cardini delle relazioni tra le cose
dell’universo, sia in termini materiali sia, soprattutto,
spirituali.
È proprio grazie all’essenzialità dell’espressione che il
discorso si fa efficace in quanto non concede nessuno spazio al
superficiale, al gratuito, a formalismi che esulino
dall’obbiettivo principale.
Le irregolarità delle pieghe riflettono le difficoltà nello
spiegare un universo troppo complesso per essere racchiuso in
una definizione lineare, certa, simmetrica, ma a cui un
intelletto sano, come è quello dell’artista, non si può
sottrarre. Quindi la piega, l’arricciatura, la lacerazione si
presentano come una sintesi tenuta insieme dal nodo che
chirurgicamente salda in maniera provvisoria, che si vuole
idonea, un logos smisurato ma incombente e ineludibile.
Un discorso a parte merita l’uso dei colori: il carminio
sanguigno, il senape, le varie gradazioni del blu – dal celeste
agata, all’azzurro acquamarina, all’oltremare – che si alternano
al bianco variamente sporcato, a un grigio metallico corposo,
ferrigno. Pigmenti, spesso puri, che sovrastano il minimale, che
coprono materiali senza pretese, come stoffe e corde,
integrandole di senso sovrapponendosi ad una vaga sensualità.
Suggestivo il contributo offerto dalla presenza dei titoli, che
sembrano quasi fuoriuscire dalle circonvoluzioni casuali dei
tessuti, affiorare dalle superfici intrise di smalto,
riverberare dai riflessi, divincolarsi dagli intrecci,
garantendo una maggiore ricchezza di significato, divenendo
appendice congruente dell’opera, non una semplice
giustificazione verbale: “Il consenso senza politica”, “Mondo
senza stupore”, “Esiste l’anima dei senza tetto?”. Vi si afferma
il ricorrere di alcuni temi, espressi con termini e formule che
si ispirano alla medesima sintesi critica, costituendo una
coerenza di linguaggio tra figurazione e parola. Anzi, talvolta
l’interazione tra tema e prodotto è così fortemente “allacciata”
che diventa difficile individuare se sia sorto prima il titolo o
la sua esplicitazione artistica. Splende una luce sull’opera di
Redivo: quella dell’inflessibilità che gli deriva innanzitutto
dalle sue certezze morali e religiose, per quanto queste ultime
possano dirsi tali per ogni persona, e la stessa inflessibilità
egli adotta per la sua pittura, fermezza che non declina e nulla
concede a grazie inutili, a estetismi fuorvianti, a ridondanze,
presenti talvolta anche in chi si serve di un linguaggio
astratto. Tanto che si possono individuare anche le tappe del
processo realizzativo e l’economia dello stesso:
l’individuazione della tematica, una più lunga fase di
concezione, infine una quasi automatica realizzazione pratica,
felice sintesi di pensiero (parola) e azione, che discende
dall’intenso precedente lavoro. L’impostazione tende alla
classicità, l’equilibrio è conseguito grazie a un giusto
dosaggio, è un obiettivo sempre tenuto presente nell’agire
pulito, meticoloso. Perciò le opere raggiungono un alto grado di
attrattività, un’armonia che funziona da tramite perché il
messaggio raggiunga i recessi dell’osservatore, il suo cuore, in
particolare la sua mente, la sua onestà. |