Testo critico sul catalogo "L'intelligenza dei nodi"
Un antagonista dell'ovvio Redivo, da quando giovanissimo ha cominciato a dipingere, è stato sempre un antagonista dell’ovvio, per ispirarsi a una sua stessa definizione che gli calza a pennello. Il pennello, però, ha smesso a un certo punto di utilizzarlo nella giusta convinzione che sarebbe stato necessario per lui uscire dal binario sul quale si era avviato per deragliare invece verso un coinvolgimento e un impegno ben superiori al fare arte per piacere e dilettare chi ci osserva, con il rischio appunto di incrementare l’ovvio e perdere di interesse. Del resto Redivo è convinto che il passato fa leggere meglio il presente e, nel suo caso, ciò è avvenuto sul serio perché l’artista ha subito scoperto in sé, forte di una formazione quasi da autodidatta ma proprio per questo fervida e entusiasta oltre ogni dire, la possibilità di prendere il suo toro per le corna nei tempi giusti e ora il maestro sembra dominare egregiamente la situazione affermando con consapevolezza piena quel senso di continuità che nel suo lavoro deve essere sempre percepito, rivendicando, peraltro, a se stesso una posizione chiara nel marasma artistico contemporaneo.
I titoli delle sue opere la dicono lunga sul senso profondo delle idee figurative da lui sviluppate ormai da molti anni, prima fra tutte quella della macchina dei nodi. Perché proprio di una macchina si tratta, nel senso di un sistema di produzione i cui esiti si rinnovano costantemente davanti agli occhi dei visitatori ma restano fondamentalmente fedeli ai presupposti primi del suo fare. Le ormai numerosissime opere fondate su questo “sistema produttivo” attestano bene come la macchina dei nodi sia una metaforica macchina poetica che generando e assemblando forme (questa fase implica come materiale di base il tessuto) racconta una epopea visiva, dove il dato ideologico, quello fantastico e quello emotivo sono solidamente connessi tra loro e il nodo, del resto, è proprio ciò che impone all’osservatore di pensare alla connessione.
Il nodo è il legare insieme e tenere uniti ma è anche costruzione e salvaguardia. Con questo stesso significato fondamentale, del resto, tanti filologi hanno voluto decifrare il termine fatale quanti altri mai di “religione” nel corso dei secoli. Giusta o sbagliata che sia tale interpretazione, ci si può chiedere se per Redivo questa macchina produttiva di oggetti, però non tutti uguali e omologabili ma al contrario incredibilmente diversi e anzi dialetticamente decifrabili, non sia una sorta di sua religione laica attraverso la quale il maestro esprime indignazione e tormento, speranze e ardenti passioni, gioie e dolori, nel tragitto di una esistenza tutta tesa alla chiarificazione delle cose e alla comunicazione netta con chi ci si presenta davanti. I “prodotti” della macchina dei nodi possono essere visti come libri che è impossibile aprire, come operazioni chirurgiche condotte sulle stoffe e poi suturate con dei punti macroscopici e inquietanti, come esiti estremi di una volontà di strappo e rottura risalente fino ai tempi del Sessantotto, i tempi in cui il nostro autore cominciò a prendere coscienza di sé come artista. Possono essere visti persino come oggetti architettonici, mattoni di un’altra fabbrica, quella dell’arte stessa e del pensiero che ne è generato.
E’ un orientamento antiaccademico, non c’è dubbio, e fin da giovanissimo la vicinanza con certa pittura sociale e rivoluzionaria, alla Guttuso per intenderci, spingeva Redivo in questa direzione. Ora i contenuti, però, sono soltanto concettuali e dentro quei prodotti della macchina dei nodi possiamo scorgere l’indignazione per la fallita democrazia di questo nostro Paese, il dolore per l’oppressione e per l’egoismo, la disperazione per un futuro che ci viene sottratto.
Il maestro veicola verso di noi contenuti dolenti ma la forza delle immagini che costruisce è come un antidoto tale da farci pensare che queste opere siano invece frutto di un inesausto entusiasmo creativo in cui la rabbia e l’orgoglio diventano forme affaticate ma, nel contempo, sottoposte a quella interiore legge dell’equilibrio, della misura, dell’eticità, che una tradizione antica trascina con sé e Redivo ne appare legittimo discendente. E la tradizione insegna a diffidare dell’ovvio. Redivo questa lezione l’ha metabolizzata interamente e una visita a una sua mostra è esperienza vivace, divertente, istruttiva e gratificante per tutti coloro che hanno a cuore il lavoro dell’artista, un lavoro che dovrebbe e potrebbe essere considerato tra i lavori più utili richiesti dalla nostra società. |