|
||
Quadri non pitture Il senso comune attribuisce al segno iconico il valore di un "analogon" perfetto del reale. Gualtiero Redivo, invece, rifiuta le soluzioni dell’illusionismo, da un lato, e la metafora dall’altro, prendendo chiaramente posizione a favore di strutture autosignificanti che si autodefiniscono sul piano concreto, oggettivo della superficie pittorica del quadro. La linea di ricerca che Redivo persegue nel campo dell’arte moderna contemporanea è rivolta al campo delle arti visive di tipo figurativo e si concentra in modo particolare nel settore della presentazione pittorica. Un’opera d’arte non può accontentarsi di essere una rappresentazione, deve essere una presentazione. Un’opera d’arte che rappresenta è sempre falsa. Non può che rappresentare, nel modo convenzionale, ciò che sostiene di rappresentare. La convenzione può essere relativa agli occhi o alla mente. L’opera presentativa sfugge, invece, a questo principio. Magritte aveva già posto in termini radicali il problema dell’illusionismo pittorico, partendo dalla contraddizione tra superficie e rappresentazione, tra lo spazio bidimensionale della tela e lo spazio tridimensionale della realtà esterna: tra i due termini non esistono varchi diretti, ma solo eterogeneità e asimmetria. In ogni caso – anche sul piano della presentazione – non si esce dalla dimensione del linguaggio e quindi della convenzione e della bugia, secondo il paradosso picassiano, che la tradizione pittorica conteneva in sé. Si tratta di una necessità di certezza, della certezza del fare pittura, distanziando tutto ciò che non appartiene a qualche grado zero della pittura su cui si concentra l’interesse dei cubisti e dei primi teorici del cubismo. Si può, in tal modo, comprendere meglio il senso di una scelta che prende una posizione a favore della metonimia contro la metafora, concentrando l’interesse sul quadro-oggetto, che propone se stesso e la propria concretezza fisica e, contemporaneamente, mette in evidenza il procedimento che lo ha costituito sia sul piano della relazione dei segni tra loro, sia a livello delle diverse fasi della destrutturazione del codice iconico e della riduzione dello stesso alle figure, ossia alle unità elementari del linguaggio. Ogni opera di Redivo enuncia quindi un problema. L’artista adopera con estrema libertà elementi diversi, con l’intento di mettere in discussione le abitudini concettuali e visive del senso comune: prelevando frammenti di realtà per la creazione delle sue opere, sposta la rappresentazione sul piano della presentazione: la carta da pacchi, le stoffe, gli stracci e le pelli, il nastro adesivo e qualsiasi altra cosa possa costituire materiale di risulta proveniente dalla vita quotidiana. Questi frammenti di realtà presentano se stessi con una sorta di enunciato di tipo tautologico. Ma, spesso, la presentazione del reale cede di nuovo il posto alla rappresentazione in codice pittorico, e questa è condotta su due piani: il primo si basa sul linguaggio già acquisito lungo il processo di de-costruzione analitica, e quindi sull’impiego – ma in un diverso contesto – di unità segniche elementari (figure); il secondo sembra invece voler restituire alla denotazione iconica i diritti perduti, anche se, in realtà, scarta tutte le soluzioni referenzialistiche, rifiutate in precedenza, per affidarsi alla tecnica del trompe-l’oeil. L’osservatore viene così tenuto sul filo sottile e incerto che separa i domini della realtà e della finzione. Ma ora il dato reale si rivela serrato da tutte le parti dalla pittura, per cui sorge spontaneo il dubbio se si tratti di un frammento della realtà o della rappresentazione al trompe-l’oeil dello stesso frammento. Infine, il disorientamento dell’osservatore aumenta nel momento in cui il prelievo non si da più in proprio, non significa più se stesso, secondo il precedente statuto tautologico (la carta da imballaggio, la stoffa, gli stracci, il nastro adesivo), ma contribuisce unitamente agli altri elementi della pittura, e con pari diritti-doveri, a costruire l’immagine di un altro oggetto. Redivo, inoltre, rivela apertamente i suoi riferimenti storici a Burri e Afro, dalle opere dei quali hanno avuto origine le sue ispirazioni creative. Infatti, in analogia a quanto si riscontra nelle opere dei due Grandi Maestri, i quadri polimaterici di Redivo sono stati realizzati con materiali "poveri", riciclati, provenienti dallo scarto della vita quotidiana. Nei quadri "non dipinti" (non pittura) di Redivo – la pittura se c’è, occupa soltanto una parte minimale nella composizione dell’opera – l’effetto policromo della pittura è comunque assicurato dall’utilizzo di altri materiali, di varia natura, non appartenenti alla pittura tradizionale. I frammenti di realtà, infatti, accuratamente manipolati in una ricomposizione artistica, divengono materia e acquisiscono colore; prendono forma, dando spessore e volume al quadro, unitamente al colore, organizzandosi nella creazione di un prodotto artistico di tipo complesso, caratterizzato dal fascino subliminale della poesia. |